mercoledì 20 gennaio 2016

Quel che resta di una donna, dopo tutto




A 22 anni avevo una casa, un lavoro a tempo indeterminato, un fidanzato e due gatti: Era il 2001, era tutto più semplice. Tante cose avevo già fatto. Liceo, università, due amori e altrettante case in città diverse. Libri, viaggi, sogni, tanti sogni. A 22 anni ero caduta tante volte e tante volte mi ero rialzata. Ero serena, “sistemata”, avevo dei progetti. Lavoravo come grafica pubblicitaria in un’azienda metalmeccanica della provincia di Macerata. Era una grande azienda (circa 50 dipendenti) ma rimaneva un’azienda a “conduzione familiare”, una cosa tipica da queste parti. In questo tipo di aziende non esiste il titolare ma il padrone. Tutto è suo all’interno della sua proprietà, prodotti, tavoli, sedie, persone. Era “normale” lavorare 9 ore e più al giorno e vedersene retribuite solo 8. C’erano i badge, gli orari risultavano ma venivano quotidianamente modificati per fare risultare solo 8 ore di lavoro effettive. All’inizio mi sono adeguata anch’io al trend aziendale ma dopo qualche anno (e nessun aumento di stipendio) ho cominciato a chiedere spiegazioni e a richiedere l’intervento di un sindacato. Inutile dire che un sindacato non aveva mai messo piede in azienda fino a quel momento. Poche settimane dopo quell’unico incontro, mi hanno trasferita in una piccola stanza senza finestre, da sola a compilare tabelle. Non proprio il mio lavoro. Lavoro per il quale avevo studiato e mi ero trasferita a centinaia di chilometri da casa. Ho cominciato a cercare un altro impiego e dopo pochi mesi l’ho trovato. Era il 2006, era tutto più semplice. Prima di firmare il nuovo contratto, scopro di aspettare un bambino. Era stato cercato, voluto per anni, ed ora, proprio nel momento meno azzeccato? Già, la vita fa così! Cosa fare ora? Incinta, senza lavoro e con un mutuo da pagare. Avrei potuto non dire nulla, presentarmi al nuovo lavoro, firmare il contratto e...Sorpresa! Sono incinta! Molte persone lo avrebbero fatto ed oggi, a dirla tutta, lo farei anch’io. Ma ero ancora ottimista, confidavo nell’umanità del genere umano, nei diritti, nelle opportunità e così andai e vuotai il sacco. Beh, mi assunsero ugualmente. Lo so che non ci credete, ma è proprio così che sono andate le cose. Ricordate? Era il 2006, era tutto più semplice.
A 27 anni avevo una casa, un lavoro a tempo indeterminato, un fidanzato, un bambino e due gatti.
Dopo 4 anni e un altro bambino le cose intorno a noi cominciarono a non essere più così semplici.
Le aziende chiudevano, i lavoratori venivano mandati a casa e le imprese che ancora restavano a galla, di sicuro non investivano in comunicazione. L’agenzia di comunicazione andò in crisi e cominciò a licenziare. Io fui la seconda ad essere buttata fuori “con effetto immediato”.
E di nuovo. Avevo 31 anni, un mutuo, due bambini e nessun lavoro.
Non si trovava uno straccio di lavoro da nessuna parte. Ho cercato per mesi. Poi ho deciso che dovevo reinventarmi un mestiere. Ho fatto un corso per pasticcere e dopo poco e per una vera, inaspettata botta di fortuna (a volte succede!), ho iniziato a lavorare nella migliore pasticceria della mia zona. Tre anni dopo però, la crisi ha colpito anche quel settore e la pasticceria ha chiuso. Comincio a credere di essere io a portare sfortuna! Ma poi mi guardo intorno e vedo che tutti quelli che conoscevo bene o male hanno subito gli effetti di questo periodo. A molti è andata anche peggio.
L’estate 2014 l’ho passata a lavorare in un albergo di lusso della zona come pastry chef. Mi permettevano di lavorare solo la mattina fino alle 15, così facevo in tempo a prendere i bambini a scuola e fare tutto quello che viene dopo. Ma era un lavoro stagionale e la stagione, prima o poi finisce. Allora ho cercato qualcosa di più stabile, di più continuativo. Ho trovato un hotel di nuova apertura, ci lavorava un mio amico, cercavano una pasticcera per le colazioni. Per me era perfetto. Lavoravo solo di mattina e la domenica stavo con la mia famiglia. Ma avevamo concordato una cifra che dopo due mesi di voucher non si è rivelata fondata. L’ho fatto presente ma è bastato questo per vedermi sbattere (di nuovo) la porta in faccia. Mi è stato detto che non ci si poteva fidare di me, che non mi meritavo neanche lontanamente quello che chiedevo. Credetemi, era una cifra solo dignitosa. E mi ritrovo, ancora, a lavorare nell’albergo di lusso per la stagione 2015. E mi ritrovo, ancora, con la stagione finita e senza un lavoro. Mi rimetto alla ricerca. Come pasticcera, come grafica, come doula. Ad Ancona, nelle Marche, in Italia. Una ragazza che lavorava con me nell’agenzia di comunicazione mi dice che nella sua azienda (un’azienda molto grande, una s.p.a.) stanno cercando un grafico e mi manda l’indirizzo e-mail per mandare il curriculum. Mi chiamano immediatamente. Wow! Fosse che questo 2015 si salva sul finale? Mando il link ai miei lavori svolti e faccio un primo colloquio con il direttore marketing. Un colloquio di un’ora. Io gli racconto, lui mi racconta.
“Certo, devo vedere altre persone, ma non ti nascondo che il tuo curriculum è molto, molto interessante!”
Dopo tre giorni vengo richiamata per un secondo colloquio con il titolare.
“Ho visto il curriculum, i lavori. Niente da dire. Tutto molto bene. La mia unica perplessità è che hai due figli. Sai, questa è un’azienda, lo capisci?”
Così, con questo candore.
Al termine del colloquio mi avevano detto che mi avrebbero mandato una proposta e che avrei fatto una prova di uno, due giorni.
Ho richiamato qualche giorno dopo e il direttore marketing mi ha risposto che avevano ordinato i computer, che stavano arrivando e che mi avrebbe richiamato appena allestita la nuova postazione.
Non li ho più sentiti. E’ passato più di un mese.
Ho 36 anni, due figli, un mutuo, un fidanzato e due gatti e, ancora, nessun lavoro.
Un paese si misura dalle sue politiche sociali prima che dalla sua economia. Così dicono, così credo anch’io.Stanno in questi giorni chiudendo l’ospedale del paese dove vivo, l’ospedale dove sono nati i miei figli. “Fa meno di mille parti l’anno, non è sicuro, lo chiudiamo!” Le parole usate sono più o meno sempre le stesse: produttività, sicurezza, profitto. Si misura tutto su questo. Ospedali, scuole, persone,
Allora perchè assumere una donna di 36 anni con due figli, senza parenti vicini? Perchè non licenziarla prima che chieda il part time? Perchè andare incontro alle sue esigenze di orario, di permessi in caso di malattia dei figli?
Proprio per questo. Perchè io sono donna, madre di due figli maschi che ho cresciuto praticamente senza nessuno aiuto. Basterebbe questo oltre ai miei ben tre curriculum (art director, pastry chef, doula) a qualificarmi.
Sono un’esperta di problem solving, di ottimizzazione dei tempi, di gestione delle risorse. Amministro un’azienda da quando avevo 22 anni, un’azienda che è cresciuta negli anni e che, malgrado tutti i tentativi di sabotaggio, è ancora in attivo. Sono brillante, rapida, non mi perdo in chiacchiere e mi adeguo facilmente, anche alle peggiori situazioni.
Molte delle persone che ho conosciuto e che avrebbero dovuto “dirigermi” non può dire altrettanto.
Ma loro lavorano, loro meritano, io no.
Allora cosa resta di una donna dopo che ti hanno sminuito per anni, dopo che ti dicono “scegli”, con le parole, con i fatti, continuamente e continuamente scegli quello che per te vale di più, non loro? Cosa resta di una donna stanca, affaticata, delusa? Cosa resta di una donna dopo che è diventata madre?
“Hai figli? Intendi averne? Che lavoro fa tuo marito?” Quanti di voi si è sentito fare queste domande ad un colloquio di lavoro? Non conosco un uomo che mi abbia risposto “ah si, a me lo hanno chiesto”. Ci ostiniamo a credere che non viviamo in un paese maschilista ma in realtà e tutta onestà non esiste alcuna parità. In casa, al lavoro.
Sono diventata una volontaria di un’associazione che si occupa di rifugiati, perchè, più di ogni altra cosa, ho necessità di credere che questo mondo sia ancora umano. Ho bisogno di credere che non ci siano solo padroni, finti intellettuali che licenziano una mamma con un figlio di poco più di un anno. Persone che dietro la parola “start up” nascondono (neanche troppo bene) sfruttamento, arroganza, indifferenza.
Ho bisogno di credere che le persone e i rapporti umani vengano prima di qualsiasi logica di profitto. Sono diventata volontaria perchè io sono ancora umana e voglio restarci.